giovedì 22 settembre 2011

Chieri, culla del Sermig

Il chierese Ernesto Olivero torna a presentarsi a Chieri, città dove ha studiato, lavorato, messo su famiglia. La città dove ancora abita e, soprattutto, dove ha fatto nascere il Sermig (Servizio missionario giovani), oggi attivo in tutto il mondo, con la “casa madre” all’Arsenale della Pace a Torino. L’appuntamento è per giovedì prossimo 29 settembre, alle 20,45 nel salone di via San Domenico 1: il domenicano padre Carlo Avagnina dialogherà con lui sul libro “Per una Chiesa scalza” (272 pagine, edizioni Priuli&Verlucca, 16,5 euro). «Nel libro racconto la mia vita - premette Olivero, che ha 71 anni - Narro molti episodi che mi hanno segnato ma mai spezzato, mi hanno fatto toccare il cielo con un dito senza mai farmi perdere tra le nuvole». A Chieri Olivero è arrivato con l’etichetta di “terrone”: «Ultimo di nove fratelli, sono nato a Pandola, nel Salernitano - racconta - Lì mio papà, originario di Boves, s’era trasferito per ragioni di lavoro. Quando traslocammo a Chieri, in via Savoia, avevo 12 anni». Il suo inserimento a scuola è stato difficile? «No, mi sono sentito subito accolto, anche se come studente ero un disastro: sono stato rimandato molte volte». Nella parrocchia del Duomo invece non ha problemi: è molto attivo, stimato, e all’età di 16 anni si occupa di organizzare le Giornate missionarie mondiali. Sarà in quest’ambiente che conoscerà la moglie Maria Cerrato, da cui avrà tre figli: Sandro, Lidia e Andrea, che oggi sono tutti suoi stretti collaboratori. Dopo le medie Olivero frequenta le scuole tecniche, e si avvicina anche al mondo dei Gesuiti, a San Carlo: «Lì c’era la crema della città: i Vergnano, i Tosco, i Tabasso. Devo dire che nessuno mi ha mai trattato come l’“amico povero”. Ho anzi stretto legami che sono vivi ancora oggi». Dopo la scuola, Olivero inizia a lavorare: «Da Tarcisio Pelosin, all’Annunziata. Poi da Cottino a Pessione, quindi al Molino Chierese, in via Roma. Infine riuscii a entrare in banca, nella filiale chierese del San Paolo». L’impegno sul fronte missionario si concretizza il 24 maggio 1964, quando Olivero ha 24 anni: «Organizzammo molte attività anche in città. Ricordo tre avvenimenti, che si svolsero in Duomo: gli incontri con don Hélder Camara, il “vescovo delle favelas”, con madre Teresa di Calcutta, col cardinale Carlo Maria Martini». Perché fondare il Sermig, quando la città era già ricca di parrocchie e movimenti ecclesiali? «Proprio perchè volevamo essere di tutti, e non “della parrocchia di”. La nostra prima sede fu a casa mia, in viale Cappuccini (oggi, invece, abito in via Brofferio). Solo in seguito, quando il gruppo crebbe, ci trasferimmo a Torino». Che cosa vi proponevate? «L’obiettivo è lo stesso che abbiamo ancora oggi: eliminare la fame e le grandi ingiustizie nel mondo, costruire la pace, aiutare i giovani a trovare un ideale di vita». Lei ha più volte sperimentato la dimensione del sovrannaturale, se non addirittura del miracolo. E’ in grado di predire che cosa ci riserva il futuro, vista l’attuale gravissima crisi economica internazionale? «Penso che il mondo è finito, se non entra nella dimensione della profezia. Bisogna dare ideali ai giovani, conquistandoli con la credibilità. I giovani vogliono maestri, non chiacchieroni, testimoni e non persone che si limitino a indicare la strada». Un’esperienza così totalizzante qual è quella di guidare il Sermig, che ha ormai molte ramificazioni all’estero, ha avuto come prezzo quello di sottrarla alla sua famiglia? «Sono diventato nonno molto presto, e ho otto nipoti. Un giorno un gruppetto di loro mi ha chiesto: “Tu vuoi bene a tutto il mondo. Ma a noi vuoi bene?”. Ho risposto: “Voglio bene a tutto il mondo, ma i miei nipoti siete voi: il mondo parte dalla mia famiglia” ».


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