lunedì 23 aprile 2012

Peru', storie di ragazzi a rischio

Abituarsi al senso dello spazio e del tempo peruviani, per i quali “dieci minuti” sono “un’ora” e “a pochi passi da qua” vuol dire “a un’ora e mezza di cammino”. Abituarsi a vedere persone che stanno sul camion al posto delle merci, per un passaggio a costo zero. Sentirsi dire da ragazzi del carcere minorile: “ma voi siete venuti fino qui per fare volontariato con noi?” con una faccia incredula. Può partire da queste considerazioni il viaggio all’interno dell’esperienza di nove mesi che due giovani fidanzati chieresi, Alice Zoggia e Fabrizio Maniscalco, hanno effettuato a Lima. Ventiquattrenne lei, di un anno più giovane lui, la voglia di un’esperienza diversa dalla solita vacanza studio nasce nel 2009, quando con il missionario comboniano padre Davide Zarantonello si recano nel quartiere Charrillos di Lima insieme a una decina di altri ragazzi italiani: un mese per aiutare come volontari in un asilo, una mensa popolare e una comunità di ex bambini di strada non bastano. O meglio, servono per convincere entrambi che in Perù ci sarebbero ritornati, ma per qualcosa in più: l’occasione arriva a marzo 2011 quando, dopo le lauree di entrambi - Giurisprudenza per Fabrizio e Scienze dell’Educazione per Alice - decidono di prendere parte al Progetto di Giustizia Giovanile Restaurativa (o Riparativa) dell’associazione peruviana Encuentros Casa de la Juventud e della fondazione svizzera Terre des hommes Lausanne. Nove intensissimi mesi ospitati a Lima nella casa di una peruviana del quartiere Bresia, al confine tra le zone tranquille della capitale e quelle meno consigliabili, con i fine settimana trascorsi nel carcere minorile Maranguita. «E’ stata un’esperienza molto stimolante e formativa a contatto con adolescenti in situazioni di rischio – commenta Alice – In Italia la “giustizia riparativa” intesa come attività da svolgere per evitare il carcere minorile è poco diffusa. Ci siamo occupati di laboratori, integrazione con le famiglie, quando esistevano ancora, mediazione con la vittima. Ma anche di attività coordinate da avvocati, educatori, psicologi: esperienze incredibili, volte a portare i ragazzi a prendere coscienza e responsabilità di ciò che avevano fatto». Un rapporto con ragazzi difficili che ha portato in loro stupore all’inizio e grande affetto alla fine, tanto da rendere commovente l’ultimo giorno con i saluti: «Ci hanno voluto bene molte persone e tutte sono rimaste nei nostri cuori». Ma come vive un chierese quasi un anno intero in una terra così diversa? «Alcune cose mi fanno sorridere ancora adesso – ricorda Fabrizio – Gli autobus perennemente contromano famosi in tutto il Sud America o che per risparmiare tempo percorrono trenta metri su una montagna di spazzatura e aprono la fila ad altri dieci. Oppure la gioia che si respira nelle famiglie dove, appena finito di mangiare, si tira fuori il cajon (una specie di scatola di legno) e si balla e si fa festa tutti insieme. Poi le piccole postazioni mobili sui marciapiedi dove si vende di tutto, comprese torte con panna credo del secolo scorso. O decine di persone in piedi per un’ora e mezza a bordo strada per vedere le partite della coppa America di calcio, incuranti del traffico mandato in tilt». I due fidanzati hanno vissuto anche la forte esperienza di una rivolta di quattro giorni nel carcere minorile ove si recavano ogni sabato: «Nel carcere esiste tanta corruzione, chi riceve soldi d aiuti dall’esterno dai membri del proprio gruppo (pandilla) ha un trattamento di favore, con cibo migliore, possibilità di festini con donne introdotte in carcere, droga – informa Fabrizio – Un giorno è scoppiata una rivolta contro il sistema troppo repressivo del carcere: si è estesa a tutte le sezioni con materassi bruciati, distruzione di tutto il possibile, arrivo in massa di polizia super armata. La realtà è che 800 ragazzi ammassati in condizioni disumane, con un sistema basato soltanto su castigo, repressione e assenza di un programma educativo, porta inevitabilmente a tensioni del genere». Fabrizio e Alice non hanno avuto paura della situazione ed erano tra i pochi autorizzati, a fatica, a entrare nel carcere in quanto visti come amici dai carcerati: «L’esperienza del carcere, così squallido e corrotto, ci ha permesso di valorizzare ancor di più la validità del progetto di giustizia riparativa ». Una città di 10 milioni di abitanti, in continua espansione, a chi vi arriva con gli occhi di un chierese che effetto fa? «Lima non è città turistica, ma è molto viva, c’è un gran senso dell’accoglienza: se arrivi in una famiglia e hai già pranzato, non importa, mangerai una seconda volta! Curiosa e originale la festa un mese prima che nasca un bimbo, con tanto di balli, giochi e regali, inconcepibile per noi italiani». Tornati in Italia, per dare continuità alla propria esperienza, hanno trovato presto lavoro, sempre in tema: Fabrizio all’Asai di Torino, associazione che si occupa di laboratori prevalentemente per stranieri, dopo scuola e corsi di italiano. Alice a Pessione nella cooperativa Chronos nella comunità per disabili psichiatrici La Motta. Un blog molto ben curato dal titolo “Destinazione Sud” è stato il modo per Alice e Fabrizio di comunicare con gli affetti italiani: chi vuole entrare in contatto con loro può vedere sul sito kerigmastudio. net, nella sezione laboratori, le modalità con le quali raccontano la propria esperienza nelle scuole superiori sotto forma di materiale multimediale, giochi di ruolo e simulazioni: tutto ispirato al concetto di giustizia ripartiva e disagio giovanile.


www.corrierechieri.it/art/Peru', storie di ragazzi a rischio

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